Una domanda (e un’autodenuncia)

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Ieri, a ricreazione, si è avvicinata una mia alunna, Eleonora. Mi ha colto di sorpresa, nell’aula a ricreazione si formano i soliti gruppi, per lo più di genere, ed io vengo giustamente ignorata, mentre controllo qualcosa sul registro elettronico o sistemo la cattedra, tutt’al più qualcuno può chiedermi di andare in bagno (non è così scontato che lo chiedano durante le due ricreazioni, preferiscono andare in bagno durante la lezione, soprattutto quando ho appena iniziato a spiegare o sto tirando le conclusioni di un discorso).

“Professoressa, cosa direbbe a una ragazza di tredici anni che si sente sola e volontariamente si isola dai suoi amici? Cosa le consiglierebbe?”

La domanda di Eleonora, fatta a voce alta, mi ha spiazzato, impanicata come direbbero loro, e sinceramente non sapevo cosa risponderle. Innanzitutto, chi era la ragazzina che si sentiva sola? Lei? Una sua amica? Un’altra ragazza della classe (intorno alla cattedra erano radunate quasi tutte le alunne)? La domanda era rivolta a me, oppure a qualche sua compagna? Voleva che sapessero che era lei che si sentiva sola? Eleonora è una ragazzina come tante, è abbastanza brava a scuola senza eccellere, è simpatica, in classe parla e va d’accordo con tutti anche se ha un ristretto numero di amiche con cui la vedo chiacchierare di più. Ecco perché ho pensato che la domanda fosse per qualcun altro della classe, ho notato che ci sono un paio di ragazze che sono più isolate rispetto ai vari gruppi. Ho farfugliato una risposta. Le ho detto che dovrebbe provare a vincere questa sensazione di solitudine, che se era una sua amica doveva farle sapere che lei era disposta ad ascoltarla o che poteva trovare un’amica, un amico o un adulto di cui si fidava e cercare di parlare di quel senso di solitudine che provava (ma se era lei, Eleonora a sentirsi sola non lo aveva già fatto, allora, rivolgendosi a me?). La campanella della fine della ricreazione ha disperso il gruppo e anche Eleonora è tornata al suo posto, immagino delusa dalla mia risposta. Ero delusa anch’io e sollevata, potevo riprendere la lezione. Ogni tanto durante la giornata ho rivissuto la scena, Eleonora che si avvicinava e mi urlava la domanda e la mia risposta inadeguata. C’ho pensato su e mi è sembrato di aver trovato mille risposte migliori anche se una parte di me si ribellava e ce l’aveva con Eleonora per aver pensato che io potessi avere una risposta. Sono solo la sua prof di italiano e ieri volevo parlare di Boccaccio, della cornice del Decameron e al più di come è stata raccontata la peste nella letteratura da Tucidite a Camus. E lei, lei mi urla questa domanda. C’ho riflettuto tutto il giorno e ho capito che la domanda, invece, era proprio legata alla letteratura, avevamo letto qualche giorno prima il sonetto di Petrarca Solo et pensoso e tra i vari esercizi c’era da scrivere un breve testo sulla solitudine, ne avevamo letto in classe qualcuno e ne era nata una discussione: la maggior parte di loro apprezza la solitudine della loro cameretta per sfuggire ai genitori, ai vari fratelli e sorelle o per ascoltare musica in pace.

Stamattina, quando sono entrata in classe, sono rimasta in piedi, mi sono appoggiata alla cattedra, non mi sembrava il caso di sedermici dietro, e ho guardato Eleonora, che si trova all’ultimo banco con uno dei discoli della classe proprio perché è una ragazzina tranquilla e quindi le è toccato questo compagno/premio, o uno simile a questo, dall’inizio dell’anno e le ho detto che non ero convinta della risposta che le avevo dato a caldo ieri, che volevo aggiungere qualcosa. Ho raccontato alla classe che Eleonora mi aveva fatto una domanda che mi aveva fatto riflettere. Ho spiegato che alla loro età è normale sentirsi soli e anche se sono passati secoli dai miei tredici anni ricordo che anch’io mi sono sentita sola e ho trovato rifugio e consolazione nel nuoto e nella lettura. Avrebbe dovuto consigliare a questa sua amica, che potrebbe essere lei o una compagna di classe, di trovare il modo di esprimere questa sua solitudine, cercare una valvola di sfogo alla sua solitudine e alla rabbia che sicuramente il suo sentirsi sola le genera. Può trasformarla in un momento creativo, può scrivere, disegnare, cantare, suonare (se è Eleonora a sentirsi sola so che ha una chitarra e scrive canzoni, perché una volta velocemente me l’ha raccontato, probabilmente proprio durante un’altra ricreazione), giocare a calcio, a pallavolo, fare foto. Oggi tutti si fanno foto, magari può girare la telecamera del cellulare e puntarla su quello che ha intorno. Eleonora era un po’ imbarazzata. Anche io lo ero. Poi è entrata la bidella per dirci di scendere in Aula Magna poiché erano arrivati quelli della Polizia Stradale per un corso sulla sicurezza. Avrei voluto aggiungere che nonostante ci abbia provato a trovare una risposta non lo so cosa consigliare a una ragazza che si sente sola, non lo so proprio e mi dispiace veramente. E non so se Eleonora tornerà più a farmi domande, a mettermi in crisi e cosa sperare.

 

Vorrei, inoltre, parlando sempre del mio lavoro a scuola, autodenunciarmi. Tre mesi fa in una mia classe ho fatto fare un testo in cui chiedevo chi tra i personaggi storici, sia dell’antichità che moderni, o anche tra le persone famose contemporanee, avrebbero messo nell’Inferno dantesco. Due mi hanno scritto che vi avrebbero messo Matteo Salvini, uno nell’Antinferno e come contrappasso un Caronte nero gli impediva di salire sulla sua nave e moriva annegato in un ciclo infinito, uno tra i lussuriosi svolazzando come una colomba per sempre mano nella mano con Matteo Renzi. E, inoltre, un alunno tifoso della Lazio ha messo Totti all’Inferno tra gli Ignavi, costretto a inseguire nudo un vessillo biancoceleste.

(Nella foto il disegno di Caronte tratto dal fumetto “Divina Commedia” di Go Nagai)

24 pensieri su “Una domanda (e un’autodenuncia)

  1. Ci vuole tanto tempo per far diventare la solitudine un’amica. Credo quindi che sia normale che i più giovani la considerino solo un modo per scappare da quello che li infastidisce e non una compagna di viaggio.
    E tra i più soli, ci sono gli insegnanti: come un portiere al calcio di rigore, certe domande spiazzano. E il rigorista è Totti.
    N.B. Geniale il tuo studente. Qui invece i gobbi li collochiamo tra gli adulatori.

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  2. Giuliana

    Difficile fare l’insegnante, i ragazzi spiazzano sempre con domande improvvise e inaspettate. Non sempre si è pronti a dare una risposta che sia giusta per loro. E, come sempre, dopo vengono in mente tutte le cose che so sarebbero potute dire.

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