Il balcone di fronte

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La giovane coppia si era trasferita da poco, a settembre, nel palazzo di fronte, al suo stesso piano, il quarto. Elvira aveva osservato dalla sua finestra il loro trasloco, qualche scatolone scaricato da una vecchia station wagon rossa, poiché l’appartamento era già arredato. La coppia prendeva il posto di un anziano, il signor Gino, morto da qualche mese dopo una lunga malattia. I due figli di Gino avevano ripulito sommariamente la casa, dato una tinteggiatura veloce in cucina e in poco tempo avevano trovato degli affittuari. Elvira li guardava dal suo punto d’osservazione in cucina, seduta al tavolo o spostando la sedia vicino alla finestra lunga, scostando la vecchia tendina a fiorellini, lì da almeno un paio di decenni. E non ricordava l’ultima volta che l’aveva tirata giù e lavata. Il suo grosso gatto nero, un portentoso miagolatore senza nome, le teneva compagnia nei suoi appostamenti quotidiani dormendo su una cesta ai piedi della stessa finestra. Elvira faceva commenti osservando quello che accadeva e lui, anche mentre sonnecchiava, rispondeva con il suo roco miagolio. La coppia, un ragazzo alto e muscoloso con i capelli cortissimi e una ragazza piccola e magra con lunghi capelli neri, per qualche mese non aveva messo neanche le tende alla finestra della cucina e quindi riusciva a vedere nella loro casa mentre facevano colazione e cenavano sotto la luce del lampadario. La finestra della camera da letto, che pure dava sullo stesso balcone ed era a fianco di quella della cucina, aveva sempre le tapparelle chiuse e per quanto si sforzasse Elvira non riusciva a scorgere il minimo movimento. Li vedeva uscire la mattina ad orari diversi -tanto Elvira si svegliava alle quattro e aveva lunghe ore solitarie da riempire, cucinava qualcosa, chiamava qualche amica con il telefono, rassettava la casa, usciva raramente per andare nel negozio gestito da egiziani sotto il suo palazzo a fare un po’ di spesa, avevano di tutto, e ancora più raramente si avventurava fino al giornalaio per comprare qualche rivista, a volte anche Internazionale, ma solo per leggere l’oroscopo di Rob Brezsny-, li vedeva uscire, lui alle sette del mattino con una tuta e le cuffiette alle orecchie per poi tornare un’ora dopo sudato e uscire di nuovo dopo di lei che partiva velocemente verso le otto e mezza con la macchina rossa e sembrava sempre in ritardo e vestita di fretta. Non sapeva che lavoro facessero, tornavano insieme verso le diciotto, a volte lui usciva di nuovo da solo dopo cena. Non ricevevano mai visite. Il giorno che Elvira prediligeva era la domenica, loro erano in casa e non uscivano quasi mai. Si mettevano sul balcone e solo le domeniche piovose restavano chiusi in casa. Al centro del balcone c’era un piccolo tavolo rotondo con delle sedie e una sdraio di legno colorata dove in genere sedeva lui con un giornale e una penna a parlare con lei seduta, invece, al tavolo davanti a un pc portatile e spesso ridevano. Lei si alzava e andava a baciarlo ogni tanto, batteva le mani, come se fosse entusiasta per qualcosa. Dopo qualche domenica Elvira aveva finalmente capito che la coppia faceva insieme le parole crociate.

Una domenica di marzo Elvira era in piedi alla finestra, aveva appena finito di bere il suo secondo caffè, li sorseggiava tutti e tre durante la mattina, erano anni che, per tentare di sconfiggere la sua insonnia e per non rinunciare al caffè, che preparava leggermente zuccherato con panna -la montava lei, mezzo litro, una volta a settimana- non prendeva più il caffè dopo le tredici. Aveva visto che lui si era offeso per qualcosa che lei diceva, si era alzato urlando ed era rientrato per poi tornare poco dopo. Era un cambiamento rispetto alla loro solita routine.

“Dovresti vedere, micio. Lui è tornato fuori. Sembra ancora arrabbiato. Ecco, ecco ora ha chiuso quel coso di lei.” Lanciò un piccolo urlo spaventando il gatto che con un miagolio offeso scappò dalla cucina: la ragazza si era alzata scaraventando la sedia a terra.

Poi, all’improvviso, lui la baciò afferrandola per le braccia e sollevandola verso di sé. Lei scalciò un paio di volte, infine gli si rilassò addosso. Dapprincipio si era preoccupata per la ragazza, ma dal modo in cui lui spostò le sue grosse mani sul sedere di lei e se la strusciò addosso e lei si aggrappava al suo collo strusciandosi a sua volta capì che stavano facendo la pace. Il ragazzo infilò la sua mano da dietro nei piccoli pantaloni di lei abbassandoli un po’, lei rilassò il viso contro il suo collo e gli disse qualcosa, forse gli ricordò che erano sul balcone, perché lui si guardò intorno e poi rientrò con lei incollata addosso dalla finestra della cucina. Elvira aveva il cuore in gola e il respiro affrettato. Si spostò all’indietro fino al tavolo e vi si appoggiò con una mano, mentre il gatto le si strusciava alle gambe miagolando incessantemente fino a quando non gli diede la sua porzione di croccantini al coniglio.

Seguì un aprile piovoso e per diverse domeniche il balcone rimase vuoto. Per qualche settimana cercò di resistere alla tentazione di spiare la vita della giovane coppia. Comprò, però, alcuni giornali con le parole crociate e con sua grande sorpresa le piacque riempire quegli schemi, si scoprì brava, il gatto miagolava soddisfatto quando gli leggeva le definizioni cercando ispirazione. La prima domenica di maggio con un sole splendente Elvira aspettava trepidante che i due uscissero sul balcone. A metà mattina quando ormai pensava che i due giovani non fossero in casa, lui si sedette al tavolo con il suo giornale con le parole crociate. Ogni tanto si fermava e fissava il vuoto a lungo per poi tornare a scrivere. Lei invece non uscì sul balcone, forse era malata o era andata da qualche parte.

Anche la domenica successiva il ragazzo era solo sul balcone, con le sue parole crociate. Poi non vide più neanche lui sul balcone.

Un giorno di giugno, mentre sceglieva alcune ciliegie appena arrivate nel negozio sotto casa, sentì Amro, il proprietario, parlare con un’altra vicina proprio della coppia del quarto piano.

“Sì, tu non ti devi preoccupare, signora. Lei è andata via perché lui è un drogato, piangeva perché lui spendeva tutti i soldi.”

Che storia triste, pensò Elvira, riempendo il sacchetto con le ciliegie. Passò alle albicocche avvicinandosi alla cassa, dove Amro e la vicina continuavano a parlare.

“Lei ha chiesto il divorzio. Sposati solo da sei mesi. Su Facebook sta abbracciata già con un altro, signora. Tu non ti devi preoccupare, lei già si è consolata.”

Elvira lasciò il sacchetto di ciliegie e prese l’uscita del negozio senza comprare niente.

Si sentiva dispiaciuta, frastornata. Tornò a casa soprappensiero, non vedeva l’ora di raccontare al micio le tristi novità sulla coppia.

Quando ormai non pensava più a loro e da mesi non guardava neanche più verso il balcone, fu allora che accadde. Tornava da un funerale, la Chiesa del Santissimo Salvatore era a poche decine di metri da casa, aveva appena attraversato sulle strisce davanti al suo palazzo quando la station wagon rossa le si fermò accanto rumorosamente, come se il conducente avesse frenato di colpo. Notò distrattamente che la macchina era carica di scatoloni e panni gettati dentro alla rinfusa, e si spaventò quando il giovane le piombò addosso scendendo di corsa dall’auto. Indossava una felpa rossa e il cappuccio era calato sul viso. Forse si rese conto di averla spaventata perché si tolse il cappuccio e si scusò velocemente.

“Cosa ha fatto alla faccia, giovanotto?” proruppe Elvira impressionata: il volto portava ferite recenti, un labbro spaccato e un occhio gonfio.

“Piovevano posaceneri pesanti, ieri”, le rispose sorridendole con una smorfia. Probabilmente il labbro gli faceva male. Elvira ricordò quello che aveva detto Amro riguardo al fatto che fosse un drogato, forse una storia di droga. Non le interessava saperlo, comunque. Continuava ad avere paura e sperava che la lasciasse passare senza farle del male. Magari voleva qualche spiccio per una dose. Pensò di cercare nella borsetta che portava appesa al braccio, ma non voleva attirare la sua attenzione sulla borsetta.

“Volevo dirle che Anna, la giornalaia, mi ha raccontato che anche lei è appassionata di parole crociate. Inoltre, ma non si spaventi, non sono un maniaco, era semplice curiosità, l’ho vista qualche volta dal balcone seduta al tavolo della cucina con il suo gatto mentre faceva le parole crociate.”

Elvira si sentì rassicurata, ma anche imbarazzata dalle sue parole. Magari l’aveva vista anche spiarli. Gli sorrise comunque, per invitarlo ad andare avanti.

“Sto partendo, lascio l’appartamento, vado a Napoli, mi traferisco da una mia amica.”

Elvira fu sul punto di chiedergli: “E sua moglie?”, ma si fermò in tempo.

“Ho avuto un periodo difficile, ed ora provo a ricominciare”, aggiunse. Sicuramente sapeva delle chiacchiere che circolavano su di lui, voleva tranquillizzarla.

“Dovrebbe avere più cura di sé, allora.”

Lui fu sorpreso della sua frase e fu il suo turno di sentirsi in imbarazzo. Si voltò verso lo sportello aperto dell’auto e prese alcuni giornali. Con sorpresa Elvira capì che erano riviste di parole crociate.

“Sono vecchi numeri de La Settimana Enigmistica a malapena iniziati. Ho pensato che le potesse far piacere avere questi, sono dei numeri molto vecchi, li ho scovati in un mercatino delle pulci, ci sono persino schemi di Piero Bartezzaghi.”

“Perché se ne disfa?” chiese Elvira. Lui ci pensò su prima di rispondere.

“Li avevo comprati per fare un regalo a mia moglie. Ora non servono più”.

Si guardarono in silenzio, poi lui le domandò se le faceva piacere tenerli altrimenti li avrebbe gettati nel primo cestino in strada. Lei lo ringraziò e li prese, li infilò in una sportina che teneva sempre con sé nella borsetta. Il ragazzo la salutò e saltò sulla macchina ripartendo rumorosamente com’era arrivato. Elvira rimase a guardare la station wagon rossa fino a che, arrivata in fondo alla via, svoltò a destra.

(Foto dal film “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock)

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