Lupi e agnelli

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Era agosto, lei e la sua famiglia trascorrevano le vacanze in Calabria, in un paesino sullo Ionio. Avevano portato la nuova macchina fotografica di suo padre, una Canon. Tra i tanti hobby di suo padre c’era quello duraturo della fotografia, probabilmente legato al suo lavoro di ottico, costruiva lenti e prismi di precisione, ne avevano disseminati ovunque in casa e alcuni pomeriggi, entrando in camera dei suoi genitori o in sala, trovava proiettati sui muri improvvisi arcobaleni, senza uscirne più, imbalsamata e incantata fino al richiamo seccato di qualcuno a cui intralciava il passaggio. Durante un viaggio da ragazzo in Tunisia suo padre vinse persino un premio per una foto di una donna velata scattata per le strade di Tunisi: era una foto molto bella, la donna era giovane e velata di bianco, guardava in macchina infastidita. Lei e sua sorella erano eccitate per la nuova macchina fotografica, la prendevano di nascosto e stavano sempre a scattare foto. Aveva sedici anni e un amore invernale finito, era triste e trascorreva i giorni sul divano del salotto, davanti alla finestra, invece di andare al mare, ascoltava in maniera compulsiva con il walkman le canzoni di Tracy Chapman su un nastro che aveva consumato “don’t you know, talking about a reeeevolution, like a whisper…”, così le sembrava di cantare, ma era un casino con l’inglese, aveva rischiato la materia quell’anno, ma Giulio Cesare di Sciachespiaaaaar era l’ultimo dei suoi pensieri e chissà che cantava. Sua sorella era bellissima e aveva ragazzi che a tutte le ore sostavano sotto casa, un appartamento che avevano preso in affitto sopra una panetteria, c’era sempre un buon odore di pane caldo e brioche. Sua sorella aveva un seno enorme che le invidiava, abbronzatissima e un sorriso sempre pronto, un fidanzatino a casa, ma casa era lontana. Sua madre preparava il frullato alla pesca e tritava anche il ghiaccio e lo portavano in spiaggia che raggiungevano dopo aver attraversato un passaggio al livello, così in mezzo al paese, e poi arrivavano al mare. Quell’estate aveva avuto una storia con uno che sua sorella aveva rifiutato, ma che teneva un po’ sulla corda per divertirsi e che cercava la sera perché era amico di un altro ragazzo che le interessava. Lei si sentiva ferita per l’amore invernale finito e offesa dalla bellezza di sua sorella e ora non ricorda perché una si sente come si sente a sedici anni. Una notte, mentre sua sorella era sparita con il suo amico, si era ritrovata a pomiciare sulla spiaggia con questo ragazzino che profumava di olio di cocco e somigliava a Eros Ramazzotti.

Lei, invece, somigliava a Enrico Mentana, corti capelli ricci, occhiali rotondi e nei a caso in faccia. Eros aveva quattordici anni, e se una a sedici anni bacia uno di quattordici sa che sta infrangendo uno dei precetti non detti, ma fondamentali dell’adolescenza femminile, mai con uno più piccolo e sa che non potrà raccontarlo a nessuna amica una volta tornata a casa. Anche lui era veramente disperato per pomiciare con Enrico Mentana. Però baciava bene ed era venuto a trovarla quando erano tornati a casa che l’estate era finita. Al mare poteva avvicinarsi solo con il buio e quando tutti gli altri erano lontani chilometri, soprattutto sua sorella che non doveva sapere niente e che spesso spariva anche lei con il suo amico. A settembre, quindi,  era venuto e le telefonava quasi ogni sera e la faceva chiamare da sua madre, per farle vedere che era serio. Dalla mamma! Dopo la signora glielo passava e lei era imbarazzata e non volevo farcelo rimanere male. Gli diceva: “Siamo troppo lontani, tu hai quattordici anni, abiti ai Castelli, ci siamo solo baciati, ti piaceva mia sorella“, non gli diceva che si vergognava di se stessa, di lui. Poi era riuscito a farsi prestare un motorino da un suo amico ed era venuto due volte, tutti quei chilometri con un motorino e la seconda volta pioveva ed era tutto bagnato e lo voleva asciugare di baci e invece gli aveva detto di non venire più. Aveva chiamato per un mese ancora e lei aveva chiesto a sua nonna, che non fa mai domande, ma sa sempre tutto, di dire che non c’era, che non abitava più in quella casa, a lui e a sua madre. Può capitare, una volta, di essere come un lupo travestito d’agnello che mangia il cuore di un altro in mezzo alle rose. (1) Leggeva molta poesia all’epoca.
L’ultima mattina delle vacanze, sua sorella molto presto, verso le cinque, l’aveva svegliata, aveva fatto shhh col dito premuto sul labbro, uno shhh molto rumoroso e l’aveva costretta ad alzarsi tirandola per il braccio. Erano salite sul terrazzo dopo aver fatto un rumore infernale con il chiavistello della porta. Capiva sua sorella, aveva una Canon nuova al collo quella mattina e si era messa in testa di fotografare l’alba.

C’erano alcune vecchie sedie ammucchiate vicino alla porta, ne avevano spostate due e si erano sedute a guardare a est. Erano silenziose, già iniziava a schiarire, una luce grigia prima che diventi luce.

“Non gli racconterai niente, vero?” le aveva chiesto.

“Che non lo sai? Sono affari tuoi.”

I grandi segreti adolescenziali delle famiglie felici.

“Prometto di non mettere più le tue scarpe.”

Era rimasta zitta, vedeva che il cielo si faceva sempre più chiaro, l’orizzonte era popolato di palazzine con antenne, non si vedeva neppure il mare, ora appare il sole e sembra più bello di quello che è, pensava.

Però non era riuscita a tacere, quella storia delle scarpe era fastidiosa.

“Hai due numeri più di me, non è che non voglio che tu metta le mie scarpe, non ti stanno, è diverso. Mi hai rovinato le espadrillas.”

Non deve essere facile essere una sorella minore, anche se di un solo anno, procace e tutta più grande, anche i piedi, e questa è sua sorella, poi.

Sua sorella le aveva scattato una foto, mentre guardava i palazzi, ce l’ha ancora. Riguarda sempre le vecchie foto, ogni volta sembra che le raccontino cose della sua vita e della vita degli altri che la volta precedente non aveva notato. Ora quando la guarda, sa che quella ragazzina che sta lì, bruttina e quasi innocente, non esiste più. Le sembrava giusto che sua sorella scattasse le foto, aveva organizzato quella mattina e la competizione tra loro che veniva fuori per ogni cosa, che le portava ad odiarsi e talvolta a picchiarsi, s’era stemperata tra notte e giorno, almeno in quell’occasione.

Solo che questo sole non si vedeva, c’era la luce ormai, il cielo era a tratti cobalto, ma il sole non era sorto. Aveva sorriso a sua sorella che aveva la macchina fotografica incollata all’occhio per non perdere l’attimo. Si erano Continua a leggere